Ci fu un tempo in cui, da bambino (oltre 20 anni fa), venivo portato periodicamente dal nonno, tenuto stretto per la manina, tra le sale del Castello Ursino. All’epoca il monumento era in condizioni che definire pessime è poco: il pavimento in finto cotto si sgretolava sotto i piedi, le collezioni esposte si riducevano ad un pugno di reperti ammassati alla rinfusa ed i custodi, che sembravano più degli annoiati guardiani di pietre, se ne stavano appollaiati all’ingresso, sulla destra, dietro un tavolone che sembrava una cattedra scolastica.
Per me la visita al Castello era una gioia immensa: ricordo un grosso mosaico tutto frammentato ed appeso al muro in cui si intravedeva un leone, testoline di marmo e terracotta che sembravano giocattoli vecchi di un paio di millenni, e poi c’erano i vasi, nerissimi e grotteschi, con quelle gorgoni alate, l’orto delle esperidi con un drago che sembrava un serpentone e, in un angolo del giardino, pure una grossa colonna quadrangolare in due pezzi che qualcuno mi raccontava essere un obelisco in pietra lavica. Su tutto quel delizioso sfacelo vigilava, nella sua opaca grandezza, il Principe Ignazio, vestito da antico romano, ed ogni volta facevo notare al nonno che l’indice della mano gli si era rotto, e qualcuno gliel’aveva riattaccato con una barretta di ferro.
Oggi se volessi portare mio nipote, figlio di mia cugina e non catanese, a rivivere quelle esperienze, non potrei. Il Castello è stato restaurato, le collezioni esposte (pur con enormi mancanze) sono aumentate, adesso i custodi hanno un bel bancone nella prima sala e addirittura si tengono mostre patrocinate da Sgarbi; purtroppo però “ai tempi miei” (in temporibus illis, davvero) i catanesi non pagavano per entrare, mentre adesso (complice un’applicazione che trovo becera della normativa comunitaria) si paga eccome, eccetto le prime domeniche del mese, ma solo ove il Ministro sia riuscito a fare applicare questo beneficium ex imperio principis. Domenica, quindi con “personale ridotto”, come qualche tempo fa mi biascicava annoiata un’impiegata regionale caffé-munita, mentre si sedeva nella guardiola del Teatro Greco-Romano: “venga un altro giorno, oggi qui, là e là non si può entrare, ma può passeggiare un po’ dove vuole. E stia attento ai gatti”. Si, perché a Catania i gatti sono mantenuti come principini nei monumenti storici, quasi fossero reincarnazioni del dio egizio Bastet, loro non pagano, ma io si.
Fino a poco tempo fa l’ultima oasi era la Chiesa della Rotonda, che una risalente storiografia si ostinava a chiamare “terma”, mentre ormai è certo che si tratti di una grandiosa struttura bizantina. Fino alla Guerra vi si diceva Messa, chi desiderava entrava, aggratis e con pietà cristiana, in un immobile publicus quia publica est ecclesia; poi il disastro di un intervento archeologico maldestro, il pavimento sfondato, le pareti scrostate, un monumento vivo ridotto in pochi anni ad una rovina, uno stanzone che una volta aveva una funzione, ed ora è solo una grotta di pietre sconnesse.
Venne in soccorso un’associazione, che presa in carico aggratis la struttura, aggratis la faceva visitare: vi entrammo a migliaia, e molte volte. Mi sentivo di nuovo bambino, nel girovagare libero tra i frammenti della mia Storia, toccando le pietre costruite dai miei antenati, andando a sbirciare, con reverenziale timore, l’austero ritratto bizantino di San Leone il Taumaturgo, incombente da un arcone, provando ad evitare, per una sorta di filiale rispetto, d’incrociarne gli occhi, dal vago taglio orientale, come ad orientem tutta guardava la Catania bizantina, patronato d’una Santa amatissima dal nome greco.
Oggi anche la Rotonda è in migliori condizioni: è stato completato finalmente lo sventramento di un nugolo di casupole ottocentesche mezze fradice che la opprimevano a Settentrione, e ne uscirono nuove aree di frequentazione romano-bizantina, addirittura residui minimali (ma pur presenti) d’un’antichissima frequentazione preistorica. Una novità antica, un’esperienza unica che il nostro secolo ci permette di vivere… eh no, a qualcuno non va bene. Che vuole questa associazione, che fino a poco tempo fa mi permetteva di portare addirittura quattro amici alla volta a visitare quel meraviglioso monumento? Manca una carta bollata, o forse un timbro, o forse un funzionario oggi ha aperto un cassetto, e n’è uscito un codicillo del milleottocento che dice che no, queste cose non si fanno! Aprire volontariamente un monumento? E non scomodare qualche impiegato regionale, semmai proprio quello che derubò il Parco Archeologico di Catania di tutti gli incassi, e di cui non si sa se sia stato licenziato o meno, e venne trasferito lì per lì alla Biblioteca Regionale? Non pagare straordinarii? Non far pagare poi, a questi pollastri che ancora hanno voglia d’imparare qualcosa, 5, 6 euro di biglietto per vedere un muro, oltre alla faccia stanca d’un custode che mastica una gomma americana?
Caro nipote, lasciamo stare. La Chiesa della Rotonda adesso è chiusa, e speriamo lo resti, perché se devono far pagare anche là, siamo arrivati davvero alla frutta. A Palermo ci lamentammo perché, con un fiore in mano ed una prece in pro dell’anima dell’Imperatore Federico, ci fu chiesto di pagare. Pagare per omaggiare un morto! A quando 1€ per il bacio d’una reliquia? Adesso anche suo nipote, Federico l’Aragonese, è diventato suo malgrado una fonte di guadagno per il Capitolo della Cattedrale di Catania. Non possiamo conoscere la sua reazione, dal Paradiso perdonerà. Ma suo nonno, dal più puro misto di sangue normanno-teutonico, avrebbe tirato fuori la spada, ed avremmo visto i nostri amministratori scappare via come i mercanti dal Tempio.
Luigi Gennaro