A festa finita finalmente possiamo dire come la pensiamo. Bene ha fatto Mons. Arcivescovo a rimproverare queste signore che portano abusivamente il carnevale nella festa di Sant’Agata millantando di recuperare il fenomeno ottocentesco delle intuppateddi, la cui esistenza oggi non ha più alcuna ragion d’essere: a differenza del passato, infatti, oggi le donne partecipano attivamente alla festa stando nel cordone assieme agli uomini, e portando anzi innumerevoli problemi, perché le dinamiche della processione impongono di stringersi corpo a corpo, e spesso le signorine passano la festa avvinghiate ai fidanzatini in un inopportuno connubio tra amor sacro e amor profano. Il tentativo delle intuppateddi moderne è beceramente politico: fare di Sant’Agata, la quale ebbe a dire al carnefice che la vera libertà è la servitù a Cristo, una sorta di icona femminista, concetto inesistente nell’Impero Romano e tantomeno presente nel primo Cristianesimo. In alcune repliche a Monsignore comparse in rete si leggono addirittura degli sproloqui pseudostorici che per giustificare questo baccheggiare femminile tirano in ballo nientemeno che i culti isiaci, una delle tante scemenze anticattoliche associate al culto agatino grazie alla fantasia dei viaggiatori inglesi del XIX secolo: non serve uno storico (ma il sottoscritto in veste di storico e archeologo conferma) per verificare che la festa di Sant’Agata è una creazione del tardo medioevo, nata attorno al reliquiario trecentesco e, comunque, posteriore al 1126, quando le reliquie furono riportate a Catania da Costantinopoli, giungendo in una città quasi totalmente islamica in cui non esisteva alcuna memoria di presunti culti greco-romani, e in ogni caso non si teneva affatto una processione esterna alla Cattedrale. L’eventuale somiglianza tra le due feste, quella di Sant’Agata e quella di Iside, si limita al fatto che si tratta in entrambi i casi di culti processionali in cui un simulacro è trasportato su di un carro con candele accese: sono identiche anche le processioni induiste, ma nessuno dice che la processione di Sant’Agata derivi da quella di Śakti o di qualche altra divinità vedica, perché sarebbe semplicemente comico. Come nessuno dice che il ketchup derivi dal garum dei Romani. Allora, per favore, smettiamola di invocare la Storia a giustificazione delle nostre idee parassitarie della Tradizione, che è un cuore pulsante da preservare, e non da affogare nel torbido delle ideologie della modernità. Sant’Agata fu donna, come donna per le donne esercitava probabilmente il proprio ministero di diaconessa, come donna fu desiderata da Quinziano e torturata perché cedesse alle sue voglie lussuriose, ma non fu uccisa in quanto donna, bensì in quanto cristiana, e portatrice cioè di certi valori della femminilità, senz’altro incarnati dalla Vergine Maria, che rappresentano l’orizzonte morale e sociale della Chiesa di Cristo. Questi valori sono incompatibili col femminismo militante, non hanno a che vedere con presunte prese di posizione sociali e certamente non sono rappresentate dalle intuppateddi.
